La lotta per la salvaguardia delle Alpi Apuane ovvero il più grande disastro ambientale d’ Europa, di cui non si parla

Salviamo le Alpi Apuane

Per descrivere accuratamente il disastro delle Alpi Apuane non basterebbe un intero libro, ma proverò comunque in questo spazio a darvi un'idea di quello che rappresenta la distruzione scientifica di un'intera catena montuosa e delle comunità che la vivono. Troppo spesso sentiamo la narrazione della distruzione delle Alpi Apuane dalla voce della città, da coloro che le vivono come luoghi di conquista sportiva. Queste voci sono importanti, ed anzi auspico che sempre più alpinisti assumano il ruolo di protettori della montagna, diventando sentinelle attente a ciò che accade. Tuttavia, troppo spesso manca la voce di chi, invece, tra quelle plaghe, su quelle terre alte, ci vive e ha vissuto, vedendo ogni giorno un territorio lasciato a sé stesso.

Proprio per questo, abbiamo fondato "Salviamo le Apuane", un movimento a cui ho dato vita nel 2009 insieme ad altre voci della montagna. Questo movimento lotta per due questioni fondamentali: la salvaguardia dell'ambiente delle Alpi Apuane e la lotta contro la desertificazione della montagna. Queste lotte sono intimamente interconnesse. Le Alpi Apuane, una piccola catena montuosa nel nord della Toscana che si estende dal fiume Magra fino al fiume Serchio, per una lunghezza complessiva di circa 60 km e una larghezza di 25 km, sono tempestate, approssimativamente, da 165 cave attive, 510 inattive e circa 200 saggi di cava, secondo un censimento dell’Università di Siena. Per di più, ogni cava attiva ogni giorno diventa sempre più grande e più vasta, una distruzione visibile dallo spazio, tanto che il documentario “Antropocene” l’ha annoverata tra i 43 disastri che hanno cambiato volto al pianeta.

Questo territorio ha visto nella storia diversi scontri tra gli escursionisti, soprattutto del CAI, e speleologi, e abitanti del territorio; essi hanno portato alla formazione del parco delle Alpi Apuane nel 1985. Un parco incompiuto, a macchia di leopardo perché vede all'interno dei suoi confini tantissime cave attive (circa 80) in luoghi di altissimo pregio ambientale e geologico, in siti protetti dalla rete europea Natura 2000, SIC e SIR. Queste montagne sono una vera e propria finestra tettonica, ovvero qui è emersa, semplificando molto, la parte più profonda della struttura dell'Appennino Settentrionale, una particolarità che ha meritato loro l'inclusione nella rete mondiale dei Geoparchi UNESCO. Rappresenta così una peculiarità di livello internazionale nel campo delle Scienze della Terra. Fin dalle origini della geologia moderna, la finestra tettonica apuana è stata un’area chiave per studiare e comprendere i complessi processi geodinamici che portano alla formazione della catena appenninica. È proprio questa loro particolarità che le ha rese appetibili per le peggiori speculazioni. Infatti, qui sono emersi i marmi più belli che l'umanità abbia mai conosciuto, come il marmo bianco di Carrara, così puro da far penetrare la luce al suo interno e rifletterla in un modo unico, così malleabile da sembrare creta tanto da affascinare artisti e architetti di tutto il mondo: tra i tanti, Michelangelo, che sovente veniva in loco a scegliere i marmi per le sue opere.
Ma questa retorica romanzata della montagna, dei cavatori eroi e del marmo per le grandi opere d’arte è morta da tempo, e oggi ci troviamo di fronte alla cruda realtà: negli ultimi 50 anni, grazie al progredire tecnologico, la velocità di escavazione è aumentata a tal punto da produrre in un solo giorno quello che prima si produceva in tre mesi. E la velocità di escavazione è stata inversamente proporzionale all'occupazione, che è passata dalle oltre 10.000 unità di qualche decennio fa a qualche centinaio di impiegati attuali.

Oggi, il grande business delle Alpi Apuane non è solo il marmo in blocchi, ma anche, e in alcuni casi soprattutto, il marmo sbriciolato, ovvero il carbonato di calcio, materiale pregiato nell'industria chimica che trova applicazione come migliorante dei processi chimici, dagli pneumatici alle vernici, dai dentifrici sbiancanti fino all'industria alimentare, che lo usa per migliorare tono ed elasticità delle farine di più basso livello. Un business, quello del carbonato di calcio, che ebbe inizio con Raul Gardini, che vinse gli appalti per fare i filtri delle centrali a carbone usando proprio questo materiale. Da qui la storia del marmo si intreccia anche con la criminalità organizzata, che di fatto non ha mai più abbandonato il territorio, essendo il business delle cave e del movimento delle terre molto appetibile, al pari di quello dei rifiuti.

La recente trasmissione di Report ha evidenziato inoltre come l'industria dell'escavazione abbia utili pazzeschi, fino al 47% del fatturato, un dato più unico che raro, considerando il fatto che un'azienda media ha un reddito di utile pari al 5% circa. Con questo rapporto e questi utili, si capisce che potenza territoriale possano avere i signori del marmo. Noi di "Salviamo le Apuane" denunciamo da tempo il massacro delle Alpi Apuane e la monocoltura del marmo che sta letteralmente uccidendo ogni forma di economia alternativa e sostenibile. Proprio per questo, abbiamo fatto nascere il PIPSEA, ovvero il Piano Programma di Sviluppo Economico Alternativo per le Alpi Apuane. le cui strategie di implementazione si focalizzano su un approccio multidisciplinare e integrato per trasformare l'economia locale. La transizione mira a spostare l'attuale dipendenza dall'estrazione del marmo verso un modello economico più sostenibile e diversificato, che include turismo responsabile, agricoltura, artigianato e conservazione ambientale. Riqualificazione Ambientale: Una delle strategie chiave prevede la riqualificazione delle aree danneggiate dall'estrazione del marmo. Ciò comporta la ristrutturazione di paesaggi naturali e la reintroduzione della biodiversità originaria per ripristinare gli ecosistemi compromessi.

L'obiettivo è di trasformare visivamente e ecologicamente le zone degradate, rendendole nuovamente vivibili e attrattive sia per la fauna selvatica che per l'uomo. Valorizzazione del Turismo: Il turismo è visto come un pilastro fondamentale nella nuova economia delle Apuane. L'intento è di promuovere un turismo che valorizzi la natura unica della regione, la sua storia e la cultura del marmo, minimizzando l'impatto ambientale. Le proposte includono lo sviluppo di infrastrutture turistiche sostenibili e la promozione di attività come il trekking, il cicloturismo e le visite guidate nelle aree naturali e storiche.

Sviluppo della Produzione Locale: Le strategie includono il sostegno all'agricoltura locale, la pastorizia e l'artigianato, con un focus particolare sulla filiera corta. Ciò significa promuovere la produzione e il consumo di prodotti locali, riducendo la dipendenza da importazioni e mercati esterni. Questo approccio non solo stimola l'economia locale ma contribuisce anche a ridurre l'impronta ecologica del trasporto di merci. Educazione e Formazione: Un'altra componente critica delle strategie di implementazione è l'investimento in educazione e formazione. Il piano prevede di fornire ai residenti le competenze necessarie per prosperare in nuovi settori economici, includendo programmi di formazione professionale in agricoltura sostenibile, gestione del turismo e artigianato. Ciò è fondamentale per garantire che la comunità locale possa beneficiare direttamente della nuova economia.

In sintesi, il PIPSEA propone un modello di sviluppo economico che non solo mira alla sostenibilità ambientale, ma cerca anche di migliorare la qualità della vita delle comunità locali attraverso l'educazione, la diversificazione economica e la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale. Queste strategie si propongono di creare un futuro resiliente per le Alpi Apuane, preservando il loro paesaggio e la loro cultura per le generazioni future.
Ma veniamo ora al punto finale, che a mio avviso è però centrale e non riguarda solo le Alpi Apuane ma tutte le zone di montagna e le zone rurali in generale. I nostri territori hanno vissuto una vera e propria colonizzazione in età moderna, una colonizzazione che ha forzatamente trasformato i pastori di montagna in operai che mangiavano il salame dalle vaschette di plastica, il che, lo capite bene, è una vera e propria violenza antropologica. I contadini nella Garfagnana più interna, da dove vengo io, ancora negli anni '80, visti coi miei occhi di bambino, buttavano i mobili di castagno per sostituirli con i mobili di formica, coprivano i muri in pietra con intonaci colorati per darsi un tono diverso ed in fondo per coprire la loro cultura contadina di cui li stavano facendo vergognare. Io stesso negli anni ho sempre avvertito vergogna e discriminazione per queste mie origini, che oggi ritengo nobili e di cui sono orgoglioso. Nessuna donna in quegli anni avrebbe sposato un contadino di montagna o un pastore e così cominciò, sin da inizio ‘900, con una valigia di cartone sotto braccio, la diaspora che ben conosciamo verso le periferie delle città di mezzo mondo, per i tanti che vedevano nella urbe il futuro dell'uomo. Come si è evoluto quel percorso è sotto gli occhi di tutti e i pochi che resistono nelle zone rurali sono sempre più bistrattati da una politica che mira a dare servizi solo alle città tagliando progressivamente la ruralità. Anche per questo lavora “Salviamo le Apuane”, che associa, non a caso, i popoli rurali e contadini alle disgrazie dei popoli nativi, siano essi americani o siberiani. Proprio quei popoli refrattari al consumismo attuale che portano in sé il seme della soluzione a questo dramma che stiamo vivendo, ovvero la "coscienza del limite", quella coscienza data da una relazione stretta con la Terra, che non può essere superata se non vogliamo pagarne le conseguenze. Una coscienza del limite che manca totalmente al mondo attuale che punta appunto ad una crescita illimitata della produzione, quando invece l'unica crescita illimitata a cui dovremmo aspirare è quella culturale e spirituale, ma magari questo tema lo approfondiremo in un altro articolo.

Attualmente, attendiamo con trepidazione l'approvazione, da parte della Regione Toscana, del nuovo Piano del Parco delle Alpi Apuane. Questo piano potrebbe finalmente segnare la chiusura di alcune cave nelle aree più delicate della catena, come la zona di Focolaccia e la parete nord del Pizzo D’Uccello, e inaugurare un'era di sostegno concreto alle economie alternative. Tuttavia, la regione sembra mostrare incertezze nel prendere decisioni incisive; già nel 2015, il piano paesaggistico di Anna Marson, che prevedeva una graduale cessazione delle attività estrattive nel parco a favore di un piano di riconversione economica per preservare l'occupazione, fu ostacolato dalle pressioni della potente lobby delle cave, lasciando un senso di amarezza e mettendo in luce la fragilità della politica di fronte a interessi consolidati. Oggi, con l'assessore Baccelli che propone addirittura un aumento del 5% della quota di estrazione, nonostante le già generose previsioni dei piani regionali, sorge spontanea la domanda: riusciremo mai a vedere approvato il Piano del Parco senza ulteriori compromessi?


Nonostante le incertezze, noi non ci arrendiamo. Il prossimo 11 maggio, alle ore 10:00, presso il Palazzo Ducale di Massa, presenteremo una nuova evoluzione della nostra proposta, che potrebbe accelerare la chiusura delle cave all'interno del parco e, insieme, garantire la salvaguardia dei posti di lavoro. Questo appuntamento rappresenta un'ulteriore occasione per fare un passo avanti verso la protezione delle nostre amate Alpi Apuane e verso lo sviluppo di un'economia più sostenibile e inclusiva.

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